A mente fredda ragiono sulla decisione presa soltanto ieri dall’Unione Ciclistica Internazionale: Lance Armstrong si è dopato per oltre 10 anni e gli sono stati revocati tutti i titoli, compresi i 7 Tour de France conquistati, che adesso attendono di essere riassegnati o meno.
Le deposizioni di tanti corridori ed ex compagni di squadra dell’americano hanno dimostrato che c’era un sistema marcio, che ha consentito ad Armstrong di farla franca e di costruire un vero e proprio business attraverso il quale riusciva a doparsi. Ero presente al Memorial Bardelli sabato scorso e ho avuto il piacere di ascoltare il pensiero di Gian Paolo Porreca, medico e giornalista, collaboratore storico, tra le altre cose, di Tuttobici. Ha fotografato alla perfezione quello che tutti i tifosi, gli uomini di ciclismo e gli addetti ai lavori provano in queste ore. Scissi tra le belle imprese che hanno raccontato in questi anni, che li hanno coinvolti in prima persona, e allo stesso tempo traditi, quasi violentati nell’anima, per quello che è emerso negli ultimi mesi. Assai più sintetico, ma non meno addolorato, è Andrea Berton, giornalista RCS e telecronista di Eurosport, che affida il suo pensiero a un tweet: “Ci ho messo passione, come milioni di tifosi. Ma per anni ho raccontato una storia falsa. Ora che è nero su bianco, fa male “.
La questione Armstrong ha lasciato diversi scottati, e, tra le altre cose, un mondo di tifosi e addetti ai lavori che sono rimasti smarriti. C’è anche un mare di ipocrisie, di chi cerca con l’arte della parola, anche certi professionisti, di giustificare le malefatte dell’americano. C’è chi grida al complotto, chi ancora non se ne fa una ragione e pensa che sia tutta una montatura. Chi dice addirittura che Armstrong è un eroe, e non importa che si sia dopato o meno, ma resta un grande esempio per tutti. La verità, come sempre, sta in mezzo. Ci sono tante cose che non sono ancora emerse da questa storia. Analizzando le numerose sostanze che l’americano ha usato negli anni, sorprende prima di tutto come l’UCI, e anche altri organismi preposti ai controlli antidoping, siano riusciti a squalificare certi atleti, ma mai lui. Forse ha ragione anche Tyler Hamilton, reo confesso, quindi tra coloro che hanno incastrato Armstrong, cui però proprio non vanno giù le dichiarazioni di McQuaid: “Non c’è posto per Armstrong”. E così l’ex compagno di squadra di Lance ha dichiarato a sua volta: “Non c’è posto per Pat McQuaid”. Una dichiarazione che nasconde più di un significato, per chi li sa cogliere. Sicuramente è molto più grave un dopato che non viene trovato ai controlli. Vuol dire che, o è coperto, o possiede uno staff tale da eluderli. Tanti soldi, tanti sponsor, forse qualcuno, tra quelli che contano, ha remato volutamente a favore di Armstrong, per coprirlo. È qui che dovrebbe proseguire l’inchiesta, e non fermarsi a colpire solamente quest’ultimo.
La giustizia ha i suoi difetti, specie quella sportiva. Un grande difetto è sicuramente quello di prendere decisioni così in ritardo, tali che si è stati costretti, negli ultimi anni, a riassegnare vittorie e revocare titoli. È successo per Valverde, è successo per Contador, e adesso succede, ed è forse il caso più lampante e clamoroso, per Armstrong, che si vede revocare titoli e vittorie a distanza di oltre 15 anni in alcuni casi. Si sarebbe sicuramente potuto fare molto di più. Questo, ne sono certo, è il più grande scandalo ciclistico della storia di questo sport. Proprio per questo non ci si deve limitare a lotte di potere tra federazioni e antidoping, e chi vuole intendere intenda, ma bisogna scoperchiare fino in fondo il vaso di Pandora.
Sulla riassegnazione dei titoli si deciderà venerdì. Una decisione che non è semplice. La logica vuole che i titoli vengano riassegnati, dato che da poco è stato riassegnato il Tour de France di Contador in favore di Andy Schleck. Quindi per una questione di coerenza, bisognerebbe riassegnare anche i titoli di Armstrong. Ma non è così facile. Prendiamo, ad esempio, il Tour de France 2005. Basta scorrere i primi 10 corridori della graduatoria. Di questi, 9 corridori su 10 sono stati trovati positivi a controlli antidoping, oppure sono stati coinvolti e/o squalificati per vicende legate a pratiche illecite. Se contiamo invece alcune dichiarazioni recenti, circa nuovi corridori coinvolti in rapporti con il dottor Ferrari, si raggiunge addirittura l’ein plein della top 10 della classifica del Tour di quell’anno. Il rischio dunque è di assegnare a corridori a loro volta dopati la vittoria di alcuni Tour de France. Proprio per questo motivo la decisione di venerdì è tutt’altro che scontata. E non importa cosa succederà, ma probabilmente, qualsiasi decisione verrà presa, genererà più dissensi che consensi.
In questo mondo malato, mi permetto di parlare con malinconia della mia professione, quella di giornalista. Sempre più rattristato, noto come l’etica e la deontologia professionale vengano deturpate, plasmate spesso per il proprio tornaconto personale, in una sorta di “doping giornalistico”, in senso molto lato. È così che alcuni si fanno pagare viaggi o soggiorni da squadre per essere intervistati, oppure non riescono più a dire la verità, almeno non analizzando del tutto i tanti punti di vista che ci sono in una situazione come quella di Armstrong, violando anche i principi del decalogo del giornalista sportivo dell’Ordine dei giornalisti. La cosa che mi ha lasciato maggiormente sconcertato è stata quando, un giorno, chiesi a un collega perché spesso si cerca di evitare di parlare e scrivere di doping su alcuni giornali. La risposta ancora oggi mi martella in testa, ed è sintomatica di quello che avviene in Italia: “Noi dobbiamo dare alla gente quello che vuole la gente, raccontare storie, non possiamo raccontare queste verità scomode, fanno male al ciclismo e allo sport”. Niente di più sbagliato. È dovere del giornalista raccontare la verità, analizzarne tutti i punti, non lasciare niente in sospeso. Non si possono fare scelte di convenienza. È normale, così, che se si “educano male” i lettori, si finisce per condizionarli, per inculcare idee sbagliate, non etiche. Si confondono le idee della massa, specie quando persone che hanno un grande seguito dovrebbero rendersi conto di certe responsabilità. Qualcuno mi dice che forse a sbagliare sono io a voler rispettare le regole della professione, dato che sono giovane e quindi, relativamente in tempi recenti, sono entrato nell’Ordine, e devo rispettare queste contorte logiche di potere. Io però dico di no, poiché è dovere di tutti rispettare le regole, altrimenti non c’è più libertà, non c’è più etica, non c’è più giustizia.
Questo dovrebbero dirlo tutti. Hai fatto un excursus tra tutte le situazioni che ruotano intorno a questa storia. Avresti potuto dire di più, ma ti sei anche contenuto. Avremo modo di parlarne a quattr’occhi. Grazie per averlo condiviso
Prego
Ci vediamo presto
Aspettiamo venerdì per vedere cosa succederà
Sono giornalista anche io, ormai viviamo in un mondo dove non si può più fare niente.. che schifo. Ti auguro di avere fortuna, emergere in questa professione è un’impresa.
Posso chiederti come mai secondo te non si può fare più niente? E’ un riferimento alla professione giornalistica in particolare o era un’affermazione generale?
Non si può fare niente è un riferimento alla professione giornalistica ovviamente. Vanno avanti solo i raccomandati e quelli che vengono a patti con cose discutibili.. se hai capito dove voglio andare a parare.
Purtroppo credo di sì.
Apprezzo molto quello che hai detto, anche sulla tua professione. Bravo
Sono d’accordo sostanzialmente su tutti i punti, nell’articolo che ho scritto per il mio sito ho espresso concetti simili sui punti toccati in comune.
Da giornalista dilettante, ho trovato particolarmente significativo l’ultimo paragrafo. Il ciclismo viene massacrato senza ritegno da qualsiasi testata non specializzata, la disciplina che più di ogni altra si batte contro il doping è diventata paradossalmente la più marcia nella percezione comune. E’ un segreto di Pulcinella che altrove sia esattamente la stessa cosa, lo sanno anche i sassi che nell’OP erano coinvolti altri sportivi (calciatori, tennisti), i video delle flebo di Cannavaro li hanno visti tutti, McEnroe ha raccontato anni e anni fa di come gli somministrassero sostanze per cavalli.
Il ciclismo ha la sola colpa di non mettere la testa sotto la sabbia dinanzi all’illecito, e per chiunque non si fermi alle cazzate che sente raccontare al riguardo da quotidiani nazionali e telegiornali sa che è il suo più grande pregio, applaudo chiunque si discosti dalla linea dell’omertà.
Ti appoggio in pieno anche il discorso su McQuaid, su cui sono state anche più aspro.
Grazie dell’intervento Matteo, invito anche gli altri a leggere il tuo articolo http://www.ilciclismo.it/2009/?p=16664 nel quale sono contenute anche alcune cose che penso su questa vicenda. Felice di ritrovarti qui dopo gli oscar dell’anno scorso. Ci rivediamo, magari proprio per discutere di nuovo di cinema, argomento sicuramente più allegro
Prima di tutto ti ringrazio per la pubblicità. Mi rifarò vedere con piacere se ricapiterà di poter discutere di ciclismo o cinema, che sono più o meno gli interessi cui dedico il 70% del tempo in cui non sono in università e non studio.
Agli Oscar manca qualche mese, ma quando vuoi posso sempre vestire i panni del Mago Otelma per un momento (non di più) e lanciarmi in attendibilissimi pronostici.