Dopo i playoff di questa sera, l’Italia è fuori dai Mondiali. Si tratta del punto più basso del nostro calcio da 60 anni a questa parte. L’ultima volta che la nostra nazionale non si è qualificata a una rassegna iridata è stata ai Mondiali di Svezia del 1958, nel mezzo di una crisi profonda durata tra gli anni 50’ e 60’, terminata poi col quadriennio che portò la nostra nazionale a vincere l’unico Europeo della sua storia nel 1968 e al secondo posto ai Mondiali di Messico ’70. A caldo ho voluto dire la mia e provato ad analizzare la situazione del nostro calcio alla luce di questo sconcertante risultato.
LE ORIGINI DELLA CRISI: DAL MEGLIO AL NIENTE – Parliamoci chiaro, dal 2006 l’Italia non è stata più in grado di essere competitiva ai Mondiali e l’unica figura degna del nostro blasone è arrivata agli Europei del 2012 con il secondo posto. Troppo poco per un calcio come il nostro, abituato da sempre ad essere ai vertici. I nostri vivai hanno smesso di produrre campioni. Sembrano lontani i tempi in cui, tra gli anni ’90 e il primo decennio del 2000, si aveva quasi la sensazione di poter vincere qualsiasi competizione iridata. In quei due decenni avevamo i migliori giocatori in ogni ruolo: per la difesa i tempi dei Cannavaro, dei Maldini, Nesta, Tassotti, Baresi, Costacurta e Zambrotta sono finiti. A centrocampo giocatori come Pirlo, Gattuso, Conte, Albertini, Donadoni, Camoranesi, Ancelotti non ci sono più. E i grandi numeri 10 come Baggio, Del Piero o Totti? Spariti! Per non parlare di alcuni dei migliori bomber del nostro calcio come Toni, Vieri, Inzaghi, Gilardino, Vialli o Mancini. Quelli citati sono stati sempre considerati calciatori ai vertici mondiali nei propri ruoli. Oggi l’Italia non ha più calciatori del genere e deve con fatica trovare 11 giocatori in grado di sostenere il confronto con altre realtà del panorama internazionale, anche meno blasonate. Ci restano solo Buffon, ormai in odore di addio al calcio, Verratti e pochi altri. Troppo poco per il futuro a breve termine.
GLI STRANIERI NON SONO UN PROBLEMA – Un falso mito è quello dei troppi stranieri in Serie A. Nel nostro campionato ci sono né più e né meno lo stesso numero di stranieri degli altri principali campionati europei. Facendo un confronto con la Germania, campione del mondo in carica, in Bundesliga non ci sono limitazioni per l’ingresso degli stranieri come invece ne abbiamo nella nostra Serie A.
I NOSTRI CLUB NON VINCONO PIU’ IN EUROPA - Purtroppo il problema non si limita alla sola selezione nazionale. Dopo la vittoria del Milan nel 2007 e dell’Inter nel 2010, l’Italia non è stata più in grado di vincere una competizione europea per club. E’ vero, c’è andata vicina per due volte la Juventus, ma preoccupa il fatto che la squadra bianconera sia letteralmente l’unica squadra ad essere stata competitiva in campo internazionale. Tra gli anni 90’ e il 2010 sono andate in fondo alle competizioni tantissime squadre. Oltre a Milan, Juventus e Inter infatti perfino la Sampdoria è arrivata in finale di Champions League (ed ex Coppa dei Campioni). Per quanto riguarda la Coppa Uefa, è stata vinta dal Parma, dalla Juve e dall’Inter numerose volte e in finale si sono fermate squadre come la Lazio e il Torino. La Lazio, tra le altre cose, rimarrà per sempre l’ultima squadra ad aver vinto la Coppa delle Coppe nel 1999.
GRANDI TATTICI, MA MANCA LA TECNICA: IL PARADOSSO VENTURA – In una scuola che non produce più giovani di livello, che non lavora come in altri paesi del mondo sulla tecnica individuale e sulle skill dei campioni del domani, dove la preparazione atletica ci mostra sempre indietro rispetto ad altre nazionali o a club al di fuori della nostra penisola, ci è rimasta solo la tattica. Ma il paradosso sta in questo: abbiamo i migliori tecnici del mondo provenienti da Coverciano, li esportiamo, vincono ovunque, eppure l’allenatore della nazionale del fallimento è Giampiero Ventura, un allenatore sicuramente valido, ma non adatto per numerose ragioni a guidare una nazionale e senza l’esperienza internazionale necessaria per guidare gli azzurri ad una rassegna iridata. Bisogna ripartire dalle basi se in futuro l’Italia vorrà tornare ad essere competitiva, ripensare i settori giovanili e il modo di preparare i giovani. Per il nostro calcio ci aspettano tempi bui, bisogna invertire la tendenza.