Sono passate ormai 24 ore dal derby tra il Pisa e il Livorno, in un’atmosfera irreale, con il calcio a porte chiuse, mentre là fuori il Coronavirus sta iniziando a cambiare le nostre abitudini.
Ieri all’Arena ho commentato questa gara così importante per i media per i quali collaboro, tra Radio Sportiva, La Nazione, Sestaporta.News e DerbyDerbyDerby.it
Attorno all’Arena i tifosi hanno aguzzato anche l’ingegno pur di vederla dal vivo. C’è uno scorcio di anti-stadio con vista sul campo: ecco allora tifosi sui tetti delle case e sui balconi delle abitazioni. Per far sentire meno soli i giocatori nerazzurri e per far arrivare loro un po’ di incitamento. Pisa-Livorno è scontro culturale prima ancora che sportivo e racchiude l’anima di due città rivali. Anche solo per l’importanza di questa partita qualsiasi tifosi non ha certamente bisogno di motivi per vedere questa gara.
Tanti sono stati gli episodi che hanno arricchito il derby dentro, ma soprattutto fuori dal campo. Come ad esempio epiche fughe in barca di dirigenti del Livorno lungo l’Arno negli anni 40’ e quando nel ’59 l’allenatore del Pisa diede ordine di aprire le pompe dell’acqua perché tutto si allagasse con la gara che finì sospesa e gli animi che si incendiarono. Nel ’78 invece undici bare nerazzurre vennero preparate di cui una più piccola per prendere in giro Barbana, che poi segnò, o la famosa sfida extra calcistica giocata nel 1994 a Tirrenia sulla spiaggia, trasformatasi da gavettonata a maxi rissa, tra il grottesco e il comico.
Ma alla fine cos’è Pisa-Livorno?
A spiegarlo magistralmente ci pensa Repubblica, in un estratto del 1996:
“…Ma è Livorno-Pisa, quel derby che torna dopo 17 anni di amarezze e si porta dietro ricordi, aneddoti, scazzottate e scampagnate. Forse è una delle partite più sentite d’ Italia: proprio perché affonda le radici non solo nella storia del calcio ma del costume, di una rivalità storica. Di rancori mai cancellati. Di fughe dei dirigenti labronici in barca, lungo l’ Arno (anni quaranta). O di quando, era il ‘ 59, l’ allenatore nerazzurro diede ordine di aprire le pompe dell’ acqua, in gran segreto, perché si allagasse tutto. La partita venne sospesa: finì, nemmeno a dirlo, a botte. O di quando, era il ‘ 78, i tifosi amaranto prepararono undici bare nerazzurre, di cui una in scala ridotta: era per Barbana, il piccoletto dei pisani. E’ finito adesso il tempo degli sfottò, della goliardia anche spinta, sanguigna, volgare: lo stesso “Vernacoliere”, foglio satirico di gran successo, si è tenuto fuori da questa sfida, è meglio scherzare sulla politica, non sul calcio. Per questo oggi l’ Ardenza, lo stadio intitolato ad Armando Picchi, cresciuto qui e diventato famoso con la grande Inter, è un bunker. La città è presidiata: i trenta chilometri che dividono Livorno da Pisa ad altissimo rischio. Chi non entrerà allo stadio, perché stracolmo, potrà vedere la partita in diretta-tv (replica in serata, se non basta), a Telegranducato, otto telecamere e tre cronisti. Livorno e Pisa non hanno mai vinto lo scudetto: gli amaranto lo sfiorarono nel 1920, battuti dall’ Inter nello spareggio di Bologna. Il Pisa ha nobiltà più recente, gli anni di serie A con il ciclo di Romeo Anconetani che comprava a due lire gli stranieri e li rivendeva a caro prezzo ai grandi club, lo stesso presidente che tentò anche un’ impossibile fusione fra i due club, quel “Pisorno” di cui ancora adesso i tifosi (livornesi e pisani) ridono ma con un misto di terrore. Tutte e due le società hanno vissuto l’ era del fallimento. …”