Non vedevo l’ora di vedere il film uscito oggi su Netflix, dedicato a Roberto Baggio, vero grande mito della mia infanzia e adolescenza, assieme al compianto Marco Pantani. Le mie aspettative erano altissime e sapevo che non avrebbero mai potuto essere all’altezza di ciò che speravo, ma in realtà sono rimasto piacevolmente colpito da questa pellicola dedicata all’immenso divin codino. L’unico vero difetto del film è la sua lunghezza, 92 minuti, il tempo di una partita più recupero, troppo poco per riassumere la carriera di un grande campione come lui. Idealmente potremo dire che il film su Baggio si divide in un primo e un secondo tempo, così come la sua vita calcistica: Prima e dopo Italia-Brasile.
Si vede tanto la mano di Baggio in questo lavoro, la sua supervisione, il suo racconto. Tra sogni e fragilità l’attore Andrea Arcangeli ha restituito un codino credibile e vero. Si muove come lui, parla come lui, ma non lo imita mai, la sua parte l’ha assorbita alla perfezione.
Probabilmente il film non servirà a spiegare Baggio ai giovani che non hanno potuto avere il piacere di vederlo calcare i campi di calcio. Il film riesce a comunicare soprattutto con chi Baggio lo ha amato, i ‘baggisti’ convinti e malati come il sottoscritto, anche se non svela quasi nessun segreto, strizzando l’occhio a tanti suoi documentari del passato, dallo speciale di Sfide dei tempi del Brescia, all’opera omnia della Gazzetta dello Sport in 10 Dvd “Io che sarò Roberto Baggio”. Molte cose erano note, come quando, dopo il primo infortunio a Vicenza, ammise di aver voluto morire in quell’occasione, ma ci sono anche diverse chicche che personalmente mi hanno fatto impazzire.
Il rapporto complicato con gli allenatori, la fiducia, la complessità della mente umana e la ricerca di una figura paterna nei propri mentori, le incomprensioni e le risposte a denti stretti. Credo anche Baggio in fondo sappia che alcuni errori del suo passato non vengono mai da una parte sola, ma abbia avuto l’occasione, con questo film, di compiere anche un percorso di maturazione personale.
Il rigore col Brasile, tra incubi e promesse infrante, se lo porterà nella tomba, ma non macchia una carriera cristallina, frenata solo da un fisico che lo ha tradito in più di un’occasione. L’immagine di Baggio viene rispettata al 100% e secondo me anche molte cose, seppur romanzate, risultano più che verosimili, frutto di confessioni e confidenze in fase di scrittura della sceneggiatura. Potremmo definire questo film come l’ultimo anello mancante di una serie di opere dedicate a lui.
Ultima menzione d’onore per la canzone di Diodato “L’uomo dietro il campione” che fa da sfondo alla pellicola. Sarà mia premura impararla a memoria in tempi brevissimi.
Che dire “Roby, grazie di tutto”.