E’ passato molto tempo dall’ultima volta che abbiamo parlato di bici dopate. Si trattava della Vuelta 2014 e i sospetti erano ricaduti su Ryder Hesjedal.
Oggi, a distanza di molto tempo, ne torna a parlarne anche La Gazzetta dello Sport, che all’epoca della mia inchiesta (nel lontano 2010) non aveva dato moltissimo peso alla vicenda, così come invece avevano fatto colleghi della stampa estera, da Eurosport, L’Equipe, Sporza e il New York Times, ma anche italiana, come ad esempio Tuttobici e La Stampa, tanto per citarne alcuni.
Cosa c’è di nuovo? Intanto vi è adesso l’assoluta certezza che queste bici stiano circolando nell’ambiente professionistico e amatoriale, mentre invece ai miei tempi erano più che altro voci sussurrate a mezza bocca. Inoltre, l’intensificarsi di blitz e controlli proprio per scovare il motorino, oltre a testimonianze all’interno del gruppo su come occultare il motorino stesso. Si sono fatti anche molti passi avanti a livello tecnologico, dal sistema di “accensione” ai nuovi motorini elettrici che arrivano dal modellismo e si attivano con il bluetooth. Inoltre, pene più severe da parte dell’UCI, come 1 milione di euro di multa per i colpevoli e sei mesi di squalifica (ancora troppo pochi per una cosa del genere). L’UCI ha inoltre escogitato nuovi sistemi di controllo, abolendo il costosissimo scanner, di cui io e Ivano Fanini, grazie alle denunce a Guariniello, fummo gli ispiratori.
Queste ed altre novità le trovate su La Gazzetta dello Sport di oggi. A questo link infatti Claudio Ghisalberti analizza la situazione attuale. Di seguito invece l’articolo presente sul giornale:
Per riassumere le puntate precedenti, ecco tutta la storia sul blog, a partire dalle origini:
La bici dopata e Fabian Cancellara
Abolizione e reintroduzione dello scanner