Autore: Domenico
Ghirlandaio e bottega.
Titolo: Il miracolo
delle stigmate.
Collocazione: Cappella
Sassetti in Chiesa di
S.Trinita.
Materiali e tecnica: a
fresco.
Dimensioni: n.p
Data: 1479-85 (cfr.
Borsook e Offerhaus)
Descrizione/Iconografia/Inquadramento
storico-critico: Sotto
la lunetta raffigurante
La rinuncia ai beni terreni
è collocato un registro che
riproduce un altro celebre
episodio della vita del
Santo di Assisi: il
miracolo delle stigmate,
o come lo presenta il Vasari
“Dipinsevi medesimamente
quando San Francesco riceve
le stimmate.” Bonaventura da
Bagnoregno, sempre nella
Legenda Maior (Leg. Maj.,
I, 13, 3 e seguenti)
racconta dettagliatamente
questo episodio. La leggenda
vuole che nel 1224, due anni
prima della morte di
Francesco, egli, ritiratosi
sul monte della Verna nel
Casentino assieme ad alcuni
“fratelli”, mentre pregava
ai piedi del monte, avesse
ricevuto le stimmate. Scese
infatti dal cielo un
serafino “con sei ali di
fiamma e di luce” il quale
gli conferì questa sacra
sofferenza, inizio del
calvario personale. Ma prima
di allora questo fatto non
era accaduto a nessuno se
non al Figlio di Dio.
L’iconografia riguardante la
vita del Santo è una delle
più proficue in campo
pittorico: basti ricordare
gli affreschi della Basilica
superiore ad Assisi,
ovviamente opera di Giotto.
Vasto sembra l’intervento
dei collaboratori del
Ghirlandaio nelle Stigmate:
in questa scena, posta nella
parete meno facilmente
visibile perché in ombra, si
diversifica dagli altri
affreschi anche nella gamma
cromatica e per la minore
resa plastica delle figure.
L’artista tuttavia, come
nella lunetta sopra il
Miracolo, deve essersi
ispirato alle storie di San
Francesco in Santa Croce a
Firenze, stavolta non tanto
da Giotto quanto dal
Pulpito in marmo di
Benedetto da Maiano,
realizzato nel 1485. La
scena, svolta all’aperto, è
molto simile, sia nella
struttura che nei soggetti.
Vediamo San Francesco
inginocchiato con le braccia
aperte a ricevere il segno
divino. Ghirlandaio sembra
attenersi maggiormente alla
Legenda maior. A
differenza di ciò che accade
nel caso del Pulpito e in
Giotto, egli ritrae il
serafino “con sei ali di
fiamma e di luce” non
isolato ma accompagnato da
sei cherubini. Il fatto
miracoloso si svolge entro
un ampio paesaggio, sul cui
fondo campeggia il monte
della Verna, “Lo quale è
molto solitario ed è troppo
ben atto a chi volesse fare
penitenza”.Così narrava
l’anonimo autore dei
Fioretti, volendo
sottolineare che il santo
stava pregando in solitudine
quando “… infiammandosi in
questa contemplazione, in
quella medesima mattina e
vide venire dal cielo un
serafino con sei ali
risplendenti affocate sicchè
egli potea discernere[………..]
cognobbe chiaramente che
aveva in se l’immagine
dell’uomo crocifisso. Il
roccioso monte, che,
all’arrivo del frate era
proprietà del conte Orlando
da Chiusi, è dipinto
prestando molta attenzione
ai particolari
naturalistici, con
un’attenzione che ha portato
Steinmann (1897) a dire che
“ i numerosi predecessori
del Ghirlandaio avevano
fallito nella descrizione
della natura”.
Tutt’intorno al protagonista
si apre la molteplice e
diversificata esplosione
vegetale e animale che
riempie il campo visivo. La
scena è totalmente immersa
nella natura rigogliosa;
inoltre una cerva,
incuriosita, sembra
assistere direttamente alla
scena. A destra del
protagonista invece, si
identifica una città e un
fiume, dal quale bevono due
cavalli. È possibile tentare
di dare un nome alla città
in lontananza, come nel caso
di Lione nella lunetta di
sinistra: potrebbe davvero
trattarsi di Pisa visto che
si riconosce la forma
pendente della Torre. Il
motivo per cui, secondo
Borsook, Ghirlandaio ha
deciso di raffigurare la
città di Pisa “was probably
because it stands at the end
of the Arno river where
begins near La Verna” e
perché Sassetti possedeva
uno studio a Pisa nel 1485.
Tale informazione la
ricaviamo da una lettera
dello stesso Sassetti a
Lorenzo de Medici:
“L’officio nostro dello
studio[Ufficiali dello
studio di Pisa],come sono
certo sapete, è imperfecto,
perché non siamo se non trè…”.
L’immagine sotto riportata
chiarisce meglio il
significato
dell’affermazione:
Percorso del fiume
Arno.
Resta tuttavia interessante
il fatto che per Ghirlandaio
il paesaggio non è solo una
cornice: ogni paesaggio o
città rappresentata come
sfondo ha un suo valore
preciso. Firenze deve
incarnare la novella Roma,
l’ignoto paesaggio della
lunetta raffigurante La
prova del fuoco
rientrava in un una cultura
che disprezzava la
religiosità mussulmana, Pisa
dal canto suo era sempre
stata legata a Firenze e
l’intento di rappresentare
questa città può avere anche
un valore estetico.
Verrà infine da chiedersi
chi sia il personaggio
accanto a Francesco. Sebbene
solitamente in questo
episodio l’iconografia tenda
a rappresentare il santo da
solo (come in Giotto),
Ghirlandaio inserisce nella
scena Frate Lione, tra
l’altro sepolto vicino al
Santo. Questo è
rintracciabile dalle fonti
Francescane.
Dalla prima considerazione,
delle sacre sante Istimate:
“Quanto alla prima
considerazione, è da sapere;
che S. Francesco essendo in
etade di quarantatre anni,
nelle mille dugento
ventiquattro, ispirato da
Dio si mosse della Valle di
Spuleto, per andare in
Romagna con Frate Lione suo
compagno; e andando, passò a
piè del Castello di
Montefeltro; nel quale
Castello si facea allora un
grande convito, e corteo per
la cavalleria nuova d'uno di
quelli Conti di Montefeltro,
e udendo Santo Francesco
questa solennitade che vi si
facea, e che ivi erano
raunati molti gentili uomini
di diversi paesi, disse a
Frate Lione: Andiamo quassù
a questa festa, perocchè
collo ajuto di Dio noi
faremo alcuno buono frutto
spirituale.”
Ma Francesco non è l’unico
personaggio insieme
all’angelo e al frate a
comporre questa scena; oltre
al frate spaventato e
incredulo, altri due frati
che si trovano ai piedi del
monte, mentre in lontananza
vediamo dei cavalieri(?) che
fanno abbeverare i propri
cavalli. Tutti hanno lo
sguardo rivolto verso il
cielo. Questo è inoltre
l’unico registro, insieme a
quello precedente, in cui
sono assenti dei ritratti.
A livello strettamente
pittorico, l’unico movimento
percepibile è quello dato
dal volo degli uccelli, e
della cerva in scorcio.
Questo è un espediente
ricorrente nell’attività
pittorica del Ghirlandaio.
Simile è infatti la visione
degli alberi, al di là della
parete, del Cenacolo
nella chiesa di Ognissanti,
dove un giardino toscano,
immerso di cipressi e
frutti, apre la scena che
viene narrata in primo
piano.
Domenico Ghirlandaio,
Cenacolo, Chiesa di Ognissanti,
Firenze.
Il merito maggiore da
attribuire all’artista in
questo registro è la
raffigurazione della luce.
Tutta la scena è rivolta
all’evento accaduto al
santo, ma non riconosciamo
in lui le ferite.
A questo racconto cui si era
già ispirato Giotto si
attiene anche Ghirlandaio
nel concepire la sua scena
nella quale però è la natura
rappresentata nei vari e
molteplici aspetti ad
apparire elemento
determinante.
Giotto, sia in Santa
Croce che ad Assisi,
realizza la stessa scena in
un modo molto più grafico:
le ferite emettono raggi di
luce che vanno a colpire il
corpo di Francesco.
Ghirlandaio apprende da
questa esperienza e rivolge
la sua attenzione sui
riflessi del volto e del
saio del frate.
Particolari
Cerva in scorcio
.
Veduta di Pisa
La Verna
Altri
riferimenti iconografici:
A
sinistra. Giotto di Bondone,
Stigmatizzazione di S.
Francesco, 1325,
cappella Bardi, Basilica di
S. Croce, Firenze.
A
destra. Giotto, Le
stigmate di San Francesco,
1300 circa, tempera su
tavola, 314x162, Parigi,
Muse edu Louvre. Sotto,
Benedetto da Maiano,
Pulpito di S. Croce Firenze
1472-1475