Per una famiglia altolocata
del Quattrocento possedere
una cappella privata era un
fatto del tutto normale.
Oltre ad essere un periodo
estremamente fervido a
livello culturale, una
grande preoccupazione che
premeva al cittadino
benestante del tempo, era
quella di provvedere e
pensare alla morte,
soprattutto alla necessità
di realizzare opere che
celebrassero la grandezza
divina per scontare dei
peccati commessi durante la
vita e celebrare il nome
della propria famiglia.
Il committente e
destinatario della cappella
in questione, come abbiamo
ampliamente descritto
precedentemente, era
Francesco Sassetti, e
ovviamente anche sua moglie
Nera Corsi.
Ovviamente perché non si
tratta di una cappella
esclusivamente adibita alla
celebrazione della loro
casata bensì doveva
conservare anche il loro
sepolcro, magistralmente
eseguito da Giuliano da
Sangallo.
I ritratti operati da
Ghirlandaio vedono
protagonisti Francesco e
Nera Sassetti, inginocchiati
entro nicchie che
allusivamente scavano il
muro della cappella ai lati
dell’altare.
Essi si trovano ai due lati
della pala d’altare, dipinti
a fresco, rappresentati in
perpetua adorazione entro
ambienti ornati di marmi
fittizzi convergenti. Come
gli spazi laterali per lo
spettatore sono messi in
rapporto con il quadro
sull’altare, i profili dei
committenti sono rivolti
verso la pala; si ottiene
così l’effetto di un
trittico formato da dipinti
di tecnica diversa.
La posizione antitetica
della coppia presso l’altare
ricorda l’Altare Portinari
di Hugo van der Goes.
Tomba
di Nera Sassetti, Santa
Trinita, Firenze e Tomba di
Francesco Sassetti,
particolare.
Con l’umanesimo il ritratto
non viene più relegato, come
durante tutto il Medioevo,
entro composizioni di
carattere religioso, bensì
torna ad avere una sua
autonomia. Anche in questo
caso, sebbene non si tratti
di una raffigurazione pari
ad altri celebri ritratti
del tempo come il ritratto
di Leonello d’Este di
Pisanello o quello dei duchi
di Urbino di Piero della
Francesca, Ghirlandaio ha
come intento quello di porre
l’uomo al centro del mondo.
Il concetto del homo
faber fortunae sue è
stato il fulcro della
filosofia umanistica,
pertanto non bisogna
stupirsi se accanto a
fortunate iconografie di
“uomini illustri” troviamo
anche membri di ceto
“borghese”, di mercanti,
umanisti, uomini di legge,
medici etc.
I due ritratti in primo
piano di Ghirlandaio, non
sono né gli unici realizzati
dall’artista nel corso della
sua vita (ricordiamo quello
della Giovanna Tornabuoni[1])
né gli unici nella cappella
(Lorenzo il Magnifico e
Poliziano nella Conferma
della regola) ma
sicuramente sono uno dei
tanti esempi di minuziosa
attenzione dell’artista per
questo genere stilistico.
L’attenzione di Ghirlandaio
è ben visibile nelle pieghe
degli abiti e l’utilizzo del
colore dei tessuti è
identico a quello di
Masaccio per i committenti
della Trinità. La parte più
interessante resta tuttavia
la raffigurazione dei volti.
Essi sembrano preannunciare
l’imminente rivoluzione
della ritrattistica del
Cinquecento, quando il
ritratto non sarà più solo
la rappresentazione
esteriore del modello ma
immagine dei moti d’animo.